Brand activism: obiettivo economico e impegno dell’impresa


Il Brand activism è un modello di business nel quale il perseguimento degli obiettivi economici è correlato o subordinato all’impegno dell’impresa in cause di rilevanza sociale, politica e ambientale. In questa prospettiva, l’azienda e la marca non operano solamente come attori del mercato ma, grazie al ruolo attivo assunto in iniziative volte a favorire il bene comune, come promotori del processo di cambiamento che le più impellenti problematiche del mondo del nostro tempo richiedono [fonte: Wikipedia].
Per l’azienda è necessario adottare un atteggiamento responsabile, che va al di là del rispetto del diritto e che attraversa il mercato, l’ambiente, i dipendenti e i consumatori.
E sono proprio i consumatori e i dipendenti che insieme a fornitori e comunità locali diventano gli stakeholder con i quali l’azienda si trova a dialogare. Infatti, solo attraverso il dialogo, in cui tutti i soggetti coinvolti sono opposti sullo stesso piano che nessuno assume una posizione di superiorità rispetto all’altro, è possibile influenzare e orientare le azioni e costruire la fiducia.
Per le aziende non è più possibile orientarsi solo al mercato: anche loro fanno parte della società e del mondo, con le stesse responsabilità dei consumatori. Responsabilità che si traducono in originali strategie di marketing finalizzate alla crescita e al vantaggio competitivo, ma con l’obiettivo di migliorare e tutelare la società ed il pianeta. L’impresa non è più percepita come semplice attore economico all’interno del mercato, ma come protagonista nel contesto sociale, capace di assumersi una responsabilità che la politica non è in grado di risolvere.
Come affermato da Philips Kotler nel suo ultimo libro dal titolo “Brand activism. Dal purpose all’azione”, scritto a quattro mani con Christian Sarkar, “le aziende devono avere una responsabilità sociale. […] Oggi non basta avere un “purpose” nobile. Ciò che conta ora è l’azione, come il brand vive e agisce nel mondo reale. Perché sia l’azione, sia la mancanza di azione sono segnali ai consumatori e all’intera società”.
Un’impresa che si assume delle responsabilità sociali, può favorire il cambiamento positivo di atteggiamenti collettivi e, addirittura, facendo fronte a quelle esigenze sulle quali la politica fa fatica ad avvicinarsi, può diventare autrice di una società migliore.
La responsabilità sociale del brand e le dinamiche di diplomazia aziendale sono sempre più strategiche.
Infatti, come già accaduto con la campagna “Stop hate for profit”, a seguito della morte di George Floyd, Coca-Cola e Starbucks hanno sospeso temporaneamente la pubblicità dei propri prodotti su Facebook, per convincere la piattaforma Social ad affrontare il tema del razzismo, i due noti brand hanno lasciato la Russia in risposta all’invasione dell’Ucraina. una vera e propria presa di posizione contro la guerra di Putin.
L’amministratore delegato di McDonald’s, Chris Kempezinsky, ha spiegato che “i valori in cui crediamo ci portano a non poter ignorare l’inutile sofferenza umana che si sta verificando in Ucraina” e l’azienda “continuerà a pagare i 62mila dipendenti che hanno lavorato con il cuore e con l’anima per il marchio”.
Accanto al colosso degli hamburger, lo stop temporaneo delle operazioni sul territorio russo arriva anche da KFC, Pizza Hut e dai noti brand del beverage come Coca-Cola, Pepsi-Co, Heineken.
Una scelta dettata anche dalla pressione dei social con il rischio di boicottaggio, che ha spaventato i big.
Nessun settore è stato risparmiato dalle iniziative di defezione dalla Russia.
Alla lista di piattaforme social, che hanno bloccato canali e profili delle TV di Stato, come RT e Sputnik, anche Google ha fatto la sua parte e ha rimosso dal servizio news le notizie proposte dai due media, così come ha fatto Microsoft rimuovendole dall’elenco delle App per Windows.
Poi ancora sospensione dalle attività sono arrivate da Sap, Oracle e Accenture.
MasterCard, Visa e American Express hanno bloccato le operazioni.
Shell ha sospeso l’acquisto di petrolio e gas naturale dalla Russia ed Eni ha annunciato l’intenzione di cedere la quota del gasdotto Blue Stream dove figura anche Gazprom.
Sul fronte tech, Apple a inizio marzo ha sospeso le esportazioni in Russia, bloccando temporaneamente anche servizi come Apple Pay.
Passo indietro nel settore fashion anche da Chanel, Hermés, Luis Vuitton e Prada, da Burberry, Levi’s, Nike, Asos e da H&M.
Ikea ha bloccato importazioni ed esportazioni dalla Russia.
Tra le multinazionali, passi indietro da Nestlé e dai marchi di tabacco Philip Morris e Imperial Brands.
Non è stato risparmiato nemmeno la TV ed il cinema: BBC e CNN hanno chiuso i loro canali, mentre Warner Bros, Sony e Disney hanno annullato le nuove uscite cinematografiche nel Paese. Netflix ha interrotto i suoi servizi di streaming, così come Amazon che inoltre ha sospeso le spedizioni e attività nel Paese. Il Brand activism sulla guerra Russia – Ucraina sta facendo presa sui consumatori, con un incremento