Costruire l’immagine aziendale


Quando si parla di patrimonio di un’azienda si fa spesso riferimento ai beni materiali che ne rendono possibile il funzionamento.
Tuttavia, questi non sono le uniche risorse sulle quali l’impresa può contare nello svolgimento della propria attività, perché nel patrimonio aziendale devono essere annoverate anche le cosiddette risorse immateriali. Immateriali, perché non sono iscritte a bilancio, sono difficilmente rilevabili e misurabili al punto da essere ignorate.
Tra tutti questi beni intangibili, un prezioso patrimonio invisibile è costituito dalla brand equity, ovvero il valore della marca, fonte primaria di vantaggio competitivo e di utili futuri.
Secondo David Aaker, autorità mondiale della pubblicità e delle strategie di marketing, la marca è “un nome o un simbolo distintivo (per esempio un logo, un marchio, il design di una confezione) che serve ad identificare l’origine del prodotto e costituisce, sia per il compratore che per il produttore, una protezione dalla concorrenza, qualora tentasse di fornire un prodotto apparentemente identico”.
La marca, infatti, inglobando tutti gli aspetti dell’identità aziendale in un unico elemento di riferimento, diventa lo specchio della filosofia, della mission, della personalità di un’impresa e, soprattutto, garanzia di qualità. Già nel medio evo, si usava apporre nomi su prodotti alimentari, vini e liquori per garantire ai consumatori la qualità dei beni e per proteggere legalmente i produttori.
I fattori che intervengono nel processo di costruzione dell’immagine aziendale (brand identity) sono molteplici. Prima dei materiali pubblicitari, prima dell’immagine coordinata, il nome è davvero la prima cosa con cui si presenta un’azienda. Poi seguono la qualità dei prodotti/servizi, la pubblicità, la tipologia distributiva, il giudizio espresso dagli opinion leader, l’informazione dei mass media ecc.
La brand identity è intesa come la percezione che il pubblico ha dell’impresa. Per pubblico si intende tutti coloro che hanno o possono avere un contatto diretto o indiretto con l’azienda: i consumatori, le pubbliche autorità, i fornitori, i clienti, gli istituti di credito, gli azionisti, i concorrenti ed infine i dipendenti dell’azienda stessa. Se positiva, può produrre benefici rilevanti: può fornire maggiore stima negli ambienti economici e finanziari, catturare il consenso e facilitare, in tal modo, il raggiungimento degli obiettivi. Ma la “buona immagine” molto spesso si gioca su concetti di comunicazione e relazione oltre che su un “valore” che si chiama fiducia.
La comune esperienza quotidiana ci insegna che gran parte degli acquisti (soprattutto quelli di lieve entità, i quali determinano un minore coinvolgimento emotivo) vengono effettuati riponendo fiducia in determinati prodotti o marche già sperimentati.
Affinché il successo di una marca resti tale, l’immagine aziendale deve essere sempre testata, vagliata e ricontrollata nel tempo, per continuare ad essere in sintonia con la propria strategia.
Un’accorta gestione dell’immagine aziendale viene confermata sia dalla fierezza dell’appartenenza del personale a quell’impresa, sia dal compiacimento dei clienti a restarle fedeli.
Diversi sono gli ostacoli che vanno superati nel percorso che porta alla costruzione di una marca solida e forte.
L’elaborazione di una strategia di lungo periodo volta alla gestione del valore della marca si scontra con la necessità di giustificare gli ingenti investimenti necessari alla sua costruzione, ma soprattutto con la tendenza che oggigiorno hanno i manager di raggiungere un risultato nel breve periodo.
Questo spiega anche l’atteggiamento dei nuovi imprenditori che scelgono di investire in marchi già consolidati in franchising.
La sfida più grande è che il mondo esterno percepisca l’azienda come questa vorrebbe essere vista.

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]