Influencer vs virtual influencer


Da quando il consumo ha assunto un ruolo emotivo e simbolico, oltre che funzionale, le aziende hanno strutturato le campagne di comunicazione non solo per offrire il semplice prodotto, ma esperienze e modelli da imitare e a cui ispirarsi.

Il consumatore è “in cerca di esperienze più che di prodotti, di sensazioni e di emozioni più che di valori d’uso” [“Il nuovo consumatore: verso il postmoderno” Giampaolo Fabris, prima pubblicazione 2003, Franco Angeli editore] e l’acquisto non è più un’attività fine a se stessa, ma è un’azione ricca di segni e significati simbolici. Ed è grazie a questi particolari segni e simboli trasferiti in un determinato brand o prodotto oggetto dell’acquisto, che il consumatore crea la propria identità, dando un senso alla propria esistenza.

In questo contesto le aziende hanno integrato i contenuti razionali con storie per comunicare alla sfera più profonda delle emozioni e lo hanno fatto anche attraverso quelle figure alle quali il consumatore avrebbe voluto ardentemente assomigliare.

Tanto più forte è l’associazione tra la personalità di quelle figure “testimonial” e la marca o il prodotto, tanto maggiore è l’efficacia della campagna in termini di approvazione, consenso e propensione all’acquisto.

Da quanto il web ha preso il sopravvento all’interno della società contemporanea le dinamiche sono cambiate.

Dalla celebrity endorser, il divo del cinema hollywoodiano del Novecento, all’influencer, una sorta di celebrità on-line che con la credibilità, l’autorevolezza e il carisma tipici di un opinion leader, ma, soprattutto, con un pubblico a seguito più o meno ampio, ha la capacità di influenzare i comportamenti di acquisto dei consumatori. Infatti, si serve del web per condividere contenuti su determinate tematiche o aree di interesse, di cui possiede un elevato grado di competenza, lanciando mode e tendenze.

La figura dell’influencer non si limita a comunicare il prodotto all’interno di uno spazio pubblicitario, ma si fa portavoce dei messaggi aziendali anche in altri contesti: nel fotografare le sue esperienze racconta la sua vita, che è quella che tutti vorrebbero avere, ed è così che accresce anche l’iconicità del brand.

Associare un volto noto ad un prodotto o a una marca è un’operazione molto delicata, perché ogni star ha una storia alle spalle che l’ha resa celebre. Pertanto, la scelta di un legame con un personaggio famoso, da parte di un’azienda, può avere esiti più o meno felici, addirittura fatali al suo destino.

Una soluzione a questo ipotetico inconveniente, sono i “virtual influencer”, che Wired (rivista mensile statunitense nota anche come “La Bibbia di Internet”) indica, con più precisione, come computer-generated intelligence influencer.

A differenza degli influencer umani, quelli virtuali – dal momento che esistono solo nelle immagini generate al computer – non hanno una vita propria e possono assicurare all’azienda di non incorrere in brutte soprese che possono danneggiarla.

KFC (Kentucky Fried Chicken), una delle più grandi catene di fast food al mondo, specializzata nel pollo fritto, ha ridato vita alla figura del suo fondatore, il colonnello Harland Sanders. Dal volto del brand, oggi il colonnello vive e interagisce con le persone, dispensa citazioni motivazionali e si lascia fotografare mentre cucina, mentre lavora o mentre incontra altri influencer come lui.

Erica (il primo androide creato dall’Università di Osaka), adottata da Gucci, ha indossato capi d’abbigliamento e accessori del brand per una campagna di influencer marketing rivolta al mercato cinese, su WeChat.

Lil Miquela, nata nel 2016, oggi su Instagram è seguita da oltre un milione e mezzo di utenti. Sempre su Instagram Shudu dice di essere la prima top model digitale, con centosettantacinque mila follower.

E ancora, è recente la nascita di Liv, che, creata da Publicis Conseil, ha appena lanciato il nuovo Suv Kadjar di Renault in Gran Bretagna.

Figure virtuali, tridimensionali, rese più umane se sovrapposte al mondo reale che ci circonda.

La divergenza tra “reale” e “virtuale” spesso viene letta come l’opposizione “vero” e “falso”. Ma non è proprio così. Siamo ormai nell’epoca in cui reale e virtuale sono due facce di una stessa medaglia: si interfacciano e confondono tra loro senza conoscere cesure e confini.

 

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]