L’evoluzione del linguaggio pubblicitario


La crisi attuale, con la stagnazione dell’economia e la disoccupazione, sta generando una diminuzione della domanda con una conseguente eccedenza di offerta. Le aziende cominciano ad avere la necessità di attuare politiche commerciali più aggressive, agendo in modo più massiccio sulla leva pubblicitaria.
Ma nello scenario attuale, dove “tutti” comunicano “tutto”, la moltiplicazione inarrestabile delle informazioni, dei messaggi, di sovrabbondanza dei suoni e delle immagini, fa sì che ci troviamo di fronte a una situazione di “troppo rumore”. I troppi messaggi pubblicitari si schiacciano l’uno sull’altro, perdono di definizione e di personalità, con il risultato di produrre un impatto mediocre e di lasciare nella mente di chi li guarda solo un debole ricordo.
Il tempo per osservare il messaggio e raggiungere “l’impatto” è sempre più breve, perché nonostante le nostre capacità percettive siano grandissime, per l’eccesso di stimolazioni a cui sono sottoposte, sono destinate a estenuarsi.
L’immagine giusta stimola la curiosità, ma è il linguaggio usato che garantisce l’efficacia del messaggio e il successo della campagna pubblicitaria.
Per comunicare il messaggio nel miglior modo possibile e per trascinare il “destinatario” nella persuasione del messaggio, le agenzie internazionali di marketing ricorrono ad artifici retorici, metafore, giochi di parole, indovinelli e neologismi. Utilizzano diverse strategie, come, ad esempio, le intime scene di famiglia, la natura, l’amore, il successo, l’avventura e il benessere, oppure si avvalgono di personaggi noti al pubblico, i quali sembrano adottare il prodotto lanciato e ne stuzzicano l’interesse.
Di fronte all’attuale sgretolamento del tessuto sociale, in cui si esalta la libertà dell’individuo a scapito della dimensione collettiva, in termini di marketing si registra un’attenzione rivolta a segmenti di clienti sempre più piccoli.
Assistiamo, quindi, al ritorno del modello micro-sociale, con i gruppi e le tribù, a scapito di quello macro-sociale, con gli stili di vita e le culture globalmente interconnesse.
I comportamenti dei consumatori, per effetto dei vari ruoli che rivestono nella loro vita, spesso anche contrastanti, sono diventati sempre meno prevedibili.
Come sostiene il premio Nobel per l’economia Amartya Sen «La stessa persona può essere senza la minima contraddizione, di cittadinanza americana di origine caraibica, con ascendenze africane, cristiana, progressista, donna, vegetariana, maratoneta, eterosessuale, sostenitrice dei diritti dei gay e delle lesbiche, amante del teatro, militante ambientalista, appassionata di tennis, musicista jazz e profondamente convinta che esistano esseri intelligenti nello spazio con cui dobbiamo cercare di comunicare al più presto. Ognuna di queste collettività, a cui questa persona appartiene simultaneamente, le conferisce una determinata identità. Nessuna di esse può essere considerata l’unica identità o l’unica categoria di appartenenza della persona».
I ruoli si sono mescolati rendendo obsoleti i metodi di studio basati sugli stili di vita e le semplici segmentazioni socio culturali.
Il messaggio pubblicitario diventa sempre più sofisticato, progettato, preciso e mirato.
Andiamo incontro a un consumatore sempre più “individuale”, dinamico e padrone delle informazioni che ritiene più interessanti o utili per sé.
Con l’evoluzione della pubblicità tradizionale verso i new media e i social network, siamo passati dalla mediazione alla relazione: si è sviluppata una cultura partecipativa fatta di scambi informali e, soprattutto, di simultaneità, dialogo e interazione.
Il consumatore è immerso in un contesto digitale “always on” ed ha acquisito competenze davvero specifiche; e quando mette a disposizione del brand le proprie idee, è possibile far nascere proposte concrete e preziose, di cui l’impresa dovrebbe tenere presente.
«Le politiche neoliberiste degli ultimi vent’anni hanno posto le condizioni per lo sgretolamento del tessuto sociale, esaltando la libertà dell’individuo a scapito della dimensione collettiva. Ma una simile libertà, basata sull’assenza di limiti, sul disinteresse al bene comune e sul conformismo, è in realtà illusoria per la sua sudditanza ai modelli e ai consumi imposti dal mercato, e ha come conseguenza l’aumento dell’impotenza collettiva…» [Zygmunt Bauman, “La solitudine del cittadino globale”].

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]