L’impresa etica


Se è vero che il profitto è l’obiettivo principale che ogni impresa si prefigge di raggiungere, ormai non si può più prescindere dal fatto che connessa alla dimensione economica, esiste una ricchezza assai più profonda, che fonda le sue radici nell’etica.

Il termine “etica” (derivante dal greco antico èthos, “carattere”, “comportamento”, “costume”, “consuetudine”) in filosofia indica una branca di tale disciplina che studia i fondamenti razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale (ad esempio una data morale). [Fonte: Wikipedia]

L’etica di un’impresa non si misura valutando la beneficenza che questa fa. Per l’azienda è necessario adottare un atteggiamento responsabile, che va al di là del rispetto del diritto e che attraversa il mercato, l’ambiente, i dipendenti e i consumatori.

E sono proprio i consumatori e i dipendenti che, insieme a fornitori e comunità locali, diventano gli stakeholder con i quali l’azienda si trova a ‘dialogare’. Infatti, solo attraverso il dialogo, in cui tutti i soggetti coinvolti sono posti sullo stesso piano e nessuno assume una posizione di superiorità rispetto all’altro, è possibile influenzare e orientare le azioni e costruire la fiducia.

Gli stakeholder, critici, responsabili e attenti, osservano e misurano tutto ciò che passa dal dire al fare dell’impresa. Con i loro comportamenti e le loro scelte ‘morali’, possono influenzare ed essere influenzati dalle decisioni dell’impresa stessa, partecipando, così, attivamente a costruire quell’offerta di beni e servizi di cui loro stessi, sul mercato, fanno domanda.

A questo punto possiamo affermare che il successo di un’impresa, in parallelo alle prestazioni economiche, oggi dipende dalla capacità di intercettare le domande della società anche sotto il profilo “etico”. Ciò non significa rinunciare al profitto per fare buone azioni, ma continuare a farne, in modo corretto, producendo benessere sociale e non danni alla collettività, equilibrio ed equità e non sfruttamento, qualità della vita e non inquinamento e malattie, diffusione di cultura e di ricchezza e non distruzione rapace di risorse umane ed ambientali. Così, accanto al valore fondamentale della marca – “core value” -, l’impresa è chiamata ad inserire le dimensioni di eticità, ovvero: sostenibilità, ambiente, qualità, responsabilità sociale, progresso e uguaglianza.

Fino ad alcuni anni fa le notizie dei mercati finanziari interessavano solo agli addetti ai lavori: nei telegiornali e nei mezzi di informazione in generale, era riservato loro uno spazio secondario e marginale. Oggi, invece sono diventati linguaggio comune. Non si tratta di un interesse di carattere culturale, ma di una nuova concezione dell’investimento non solo dei propri risparmi ma anche delle scelte relative al consumo di determinati beni o servizi.

Di fronte a tale scenario, il nuovo vantaggio competitivo delle imprese non si gioca più solo sulla capacità di attirare i consumatori, venendo incontro alle loro esigenze, ma si gioca anche sulla necessità di relazionarsi con loro da un punto di vista etico, nel rispetto dei loro diritti all’informazione, all’ascolto, alla scelta, alla qualità della promessa e alla salute.

E allora si stanno sempre più diffondendo strumenti di rendicontazione integrata della performance economico-finanziaria, sociale e ambientale dell’azienda. La bottom line è la riga conclusiva del bilancio di esercizio. In un ottica di CSR e sostenibilità le righe sono tre: la performance dell’impresa viene misurata secondo i contributi o i danni nei confronti della prosperità economica, della qualità dell’ambientale e del capitale sociale. Questa espressione viene spesso accompagnata da “triple P”, dove la lettera P sta per people, planet, profit (capitale umano, ambiente, ricchezza economica). [Fonte: www.wikicsr.it].

A tale proposito, un pensiero va al brand Volkswagen che, tradizionalmente attenta al rispetto dei principi di correttezza, trasparenza e legalità, con la sua la formula del “clean diesel”, aveva conquistato il posto di leader globale di sostenibilità nel settore automobilistico mondiale. Dal recente scandalo sulla manipolazione delle emissioni delle proprie macchine, affinché fossero compiacenti ai test di emissione, il vero danno, oltre che economico per rimettere in sesto le auto, è quello che nasce dagli effetti prodotti sui consumatori, che rischia di distruggere in un colpo solo la reputazione che l’azienda ha costruito in tutta la sua storia.

Anche la Chiesa, nel 2009, con Papa Benedetto XVI, nella lettera enciclica “Caritas in Veritate” dedicata all’economia e ai principi della dottrina sociale, ha voluto sottolineare l’importanza dell’etica e della responsabilità sociale nell’impresa. “[…] Oggi si parla molto di etica in campo economico, finanziario, aziendale. […] Occorre adoperarsi non solamente perché nascano settori o segmenti «etici» dell’economia o della finanza, ma perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura.”

 

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]