Post-verità


Le innovazioni e la velocità che caratterizzano la nostra epoca, ci rendono sempre più vulnerabili agli stimoli esterni.

Infatti, sempre più raramente riusciamo a compiere scelte ponderate ed analisi ragionate di fronte alle varie situazioni – di acquisto e non – e ci affidiamo all’uso di scorciatoie mentali per far risparmiare al nostro cervello più energie possibili, giungendo, con il minimo sforzo, a rapide conclusioni. Rapide conclusioni che rischiano di condurci verso un mondo parallelo di grande attualità, sintetizzato nella “post verità”.

Dal momento che l’essere umano è suscettibile alle opinioni altrui, gli appelli, le emozioni, le convinzioni personali che riscuotono consensi attraverso il web partecipativo, riescono a rendere ingannevolmente “vera” qualcosa che non lo è.

Il termine “post verità” non vuol dire “bufala”, notizia falsa o fake news, come invece talvolta è usato, ma definisce le “circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti, nella formazione della pubblica opinione, del richiamo alle emozioni e alle convinzioni personali”.

Pertanto, il prefisso “post” non assume il significato temporale di “successivo”, ma appartiene a un tempo nel quale il concetto di verità diventa irrilevante, lasciando spazio alle credenze radicate nelle emozioni: la realtà dei fatti è meno importante delle convinzioni personali.

Ormai tutte le comunicazioni vengono travasate in queste arene, attraverso dei post (dall’inglese affiggere che non ha nulla a che vedere con il significato “post” del prefisso), in cui si ci espone a un giudizio sommario da Colosseo, perché ciò che conta è solo una collezione di “pollici elevati”.

Ed è proprio il numero di “like” che può stabilire con valore una presunta “verità”, rendendola assoluta e virale, grazie alle opportunità di condivisione offerte dai social network.

Un naufragio della “verità” o uno stratagemma che stimola ad esplorare la potenza del falso?

Damien Hirst, artista inglese tra i più famosi e controversi al mondo, ma anche eccezionale stratega di marketing, ha affermato che «tutto sta in quel che volete credere». E a volerci credere, la sua provocazione “Treasures from the wreck of the Unbelievable”, è un valido spunto di riflessione. La mostra, ospitata da ottobre a dicembre 2017 a Palazzo Grassi e Punta della Dogana, le due sedi veneziane della Pinault Collection, ha esposto i reperti del più fantastico ritrovamento nella storia dell’archeologia, avallando la leggenda di un ex schiavo Cif Amotan II, originario di Antiochia (l’attuale Turchia nordoccidentale) e vissuto tra il I e il II secolo dopo Cristo. Il liberto avrebbe destinato la sua ricchissima collezione di manufatti e oggetti preziosi provenienti da tutto il mondo fino ad allora conosciuto, ad un leggendario tempio dedicato al dio Sole in Oriente. Ma il prezioso carico di 460 tonnellate, mentre veniva trasportato a bordo del vascello Apistos – dall’antica lingua greca “incredibile”, o anche “non credibile” -, sarebbe affondato al largo dei porti dell’Africa orientale. I tesori sarebbero rimasti sul fondo dell’Oceano Indiano fino al ritrovamento da parte di una squadra di archeologi e all’interessamento di Hirst.

Nonostante il recupero sia stato documentato attraverso fotografie e filmati, il carattere fortemente ambivalente di questa storia prevarica su tutto. La collezione è stata costruita su oggetti poco plausibili per l’età ellenistica, come il gigantesco disco solare atzeco in bronzo, o come The Collector with Friend in cui un uomo (Amotan con le sembianze dello stesso Hirst) tiene per mano Mickey Mouse. Inoltre, sull’architrave d’ingresso alla mostra un gioco di parole svela il progetto sul vero e sul falso: “Somewhere between lies and truth lies the truth”, la verità sta da qualche parte tra la verità e le bugie. E che dire dell’anagramma di Cif Amotan II: “I am a fiction”?

Un bel rebus per il visitatore, che si è interrogato su che cosa poteva essere considerato vero, o anche solo finzione storica e archeologica, e che cosa, invece, è stato semplicemente il parto dell’incontenibile fantasia di Damien Hirst, più astuto degli astutissimi uomini di marketing e promotore di se stesso.

I meccanismi che entrano in gioco nel processo decisionale e le debolezze che ne derivano, rappresentano una grande risorsa per il marketing, in grado di anticipare le scelte, i comportamenti e i bisogni. Perché ogni re-azione è il risultato di precise scelte comunicative, studiate e realizzate per condizionare e per provocare giudizi, preferenze e decisioni in modo istintivo e inconsapevole.

 

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]