Quando 1+1 è uguale a 3


Nell’era della globalizzazione, per affrontare la concorrenza sul mercato, fra imprese e imprenditori si è sviluppata una forma particolare di cooperazione finalizzata ad ottenere dei risultati che sarebbero difficili da raggiungere singolarmente.
Un’alleanza strategica, «di risorse o programmi fra due o più organizzazioni indipendenti con lo scopo di aumentare il potenziale di mercato di ciascuna di esse» [Adler, 1966].
Questa forma di collaborazione, in cui le imprese coinvolte condividono tra loro gli investimenti e i benefici della cooperazione, viene definita con il termine inglese co-marketing (oppure co-branding).
Il marketing collaborativo comprende attività di ‘partnership commerciale’ e iniziative di tipo diverso, tra due o più marche individuali, prodotti e/o altri elementi distinti della proprietà, in cui gli attori che ne prendono parte vantano differenti competenze, ognuno per il proprio specifico ambito di attività.
Che siano operazioni tattiche a breve tempo o strategiche di lunga durata, i motivi che spingono i soggetti a sottoscrivere un accordo di co-marketing possono essere molteplici e di diversa natura. Possono nascere in ambiti differenti e in qualche modo possono essere riconducibili alle 4 P del marketing: il prodotto (l’incontro di competenze e know-how diversi può far nascere nuovi prodotti o innovare quelli già esistenti), la distribuzione (mettere in comune i propri target e i propri mercati di riferimento individuare nuovi ambiti competitivi, per acquisire nuovi clienti o nuovi posizionamenti di prodotto, e quindi aumentare la presenza sul territorio), il prezzo (integrare la gamma dei propri prodotti/servizi con altri per applicare politiche di ‘prezzo’ più aggressive) e la comunicazione (incrementare la visibilità, realizzando azioni di comunicazione e di promozione dei propri prodotti/servizi, sfruttando l’aumento dei mezzi a disposizione).
Lo scopo di qualsiasi azione è comunque finalizzata ad aumentare il valore economico delle imprese coinvolte e accrescere il valore offerto e percepito da parte del target prefissato. Infatti, associando due marche con attributi di prodotto complementari, gli attributi del prodotto co-branded sembrano essere percepiti meglio rispetto a ciò che si sarebbe ottenuto in un’azione di single brand.
Per poter giungere a risultati positivi, tuttavia, è necessario che, fin dall’inizio del processo di costituzione dell’accordo, siano chiari gli obiettivi da raggiungere (possono essere comuni o anche diversi tra i vari partner, ma in ogni caso tra loro compatibili), le attività da svolgere, le risorse da impiegare e i controlli da realizzare.
I partner della ‘cooperazione’ possono essere individuati sulla base di diverse categorie: quelli che apportano contributi tangibili e quelli che contribuiscono all’alleanza apportando contributi immateriali o simbolici.
I primi si riferiscono a un co-marketing di tipo funzionale, in cui i brand si uniscono per commercializzare un unico prodotto, fisicamente tangibile al cliente, come ad esempio i produttori di PC che inseriscono all’interno dei loro computer i processori Intel, oppure come la Philips e la Nivea con la costruzione di un rasoio elettrico che spalma sulla pelle un’emulsione idratante, riducendo i rischi di tagli e di irritazioni.
I secondi si riferiscono all’unione di un marchio ad un’offerta, associando a quest’ultima attributi o benefici di natura prevalentemente simbolica. In questo caso è piuttosto frequente che il marchio che “ospita” abbia un peso maggiore nell’offerta congiunta, ovvero che “ospiti” un altro marchio nel proprio packaging per fini contingenti e talvolta limitati nel tempo. Un esempio è quello di Carpisa, che, per premiare la fedeltà dei suoi clienti, dal 1° maggio 2011 al 30 aprile 2012, ha rinnovato un accordo con la Unipol Assicurazioni S.p.A., che garantisce, per le sue valigie, una copertura assicurativa valida in tutto il mondo e con qualsiasi compagnia aerea.

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]